È un mercato che solo in Sicilia vale 254 milioni. Attenzione, però, a considerarlo ricco: con quel denaro, un quarto del fatturato di tutta Italia, devono arrivare alla fine del mese – incluse spese di manutenzione e carburante – ben 6.592 lavoratori. In balia, se non del mare, degli eventi: perché i pescatori siciliani, oltre che con le onde alte della crisi economica, devono fare i conti anche con le insidie della geopolitica e con i sequestri come quello che si è concluso ieri. Così, nel tempo, molti hanno rinunciato: in tutta l’Isola nel 2000 i pescherecci erano 4.329, mentre adesso sono 2.882, con la perdita di 16mila posti di lavoro solo dal 2006 al 2016. Fronte del porto-canale Chiunque sia stato a Mazara del Vallo nell’ultimo decennio non può non essersene accorto: la gran parte dei pescherecci accantonati si trova qui, dove il dragaggio del porto- canale che dovrebbe rilanciare il settore è un totem al quale tutti i politici, a turno, si inchinano a ridosso delle elezioni. Nel frattempo, però, la flotta più grande dell’Isola si è assottigliata fin quasi a sparire: “Solo negli ultimi dieci anni – avvisa Giovanni Basciano, vicepresidente di Agci- Agrital, la principale associazione delle coop di pescatori – le imbarcazioni sono passate da 400 a meno di 80. La demolizione incentivata delle imbarcazioni è stata un processo volontario, ma per molti è stata l’unica soluzione”. Passaggio a sud-est Già, perché da Mazara fino a poco tempo fa si salpava verso lo Stretto di Sicilia: ora la principale marineria siciliana – cui fanno da debole sponda le tre flotte minori di Sciacca, Porticello e Portopalo di Capo passero, rivolte però a una pesca locale – ha dovuto giocoforza cambiare le proprie rotte alla ricerca di gambero rosso e gambero viola. Turchia, Cipro, Libano sono le principali destinazioni: “Questo – osserva Basciano – comporta periodi di pesca molto lunghi e investimenti decisamente più cospicui ” . Il trasferimento è dovuto ai cambiamenti climatici, che hanno mutato gli equilibri del Mediterraneo, ma anche alle tensioni geopolitiche: ” Libia e Tunisia – sbuffa Rosolino Greco, che regge l’interim del dipartimento regionale alla Pesca in attesa che arrivi il suo successore, Alberto Pulizzi – non rispettano gli accordi internazionali ” . È la vecchia storia del confine delle acque territoriali: Muhammar Gheddafi, in quella che sembra un’altra epoca ma che in fondo è solo il decennio scorso, decise che il mare di competenza libico arriva a 74 miglia nautiche, ben oltre le 12 previste dal diritto internazionale, e da allora per i pescatori italiani – soprattutto con una Libia così instabile – è pericoloso spingersi da quelle parti. Bassa quota La concorrenza, però, è anche interna: sul tonno, infatti, la pesca siciliana deve difendersi dalle tonnare sarde, che durante la chiusura della struttura di Favignana hanno conquistato quasi tutto il mercato. L’anno scorso, nella battaglia per la ripartizione delle quote, la più grande delle isole Egadi ha ottenuto una porzione irrisoria: appena 14 tonnellate, che secondo la ” Nino Castiglione”, che controlla la tonnara, è insufficiente per sostenere i costi. Così, l’anno scorso, è partita una dura battaglia legale: il ricorso della giunta Musumeci contro l’assegnazione delle quote, però, è stato respinto, e dunque quest’anno l’attività non è ripartita. Adesso è in corso una mediazione con la ministra Teresa Bellanova, per riavviare quella che il neo- sindaco dell’isola Francesco Forgione considera un’attività ” con un’importante ricaduta turistica, oltre che in termini di produttività e di identità territoriale”. Sottrai un posto a tavola Il tonno, del resto, è una quota minore del mercato del pescato siciliano: le tonnellate registrate dall’Istat sono 36.849, cui si aggiungono le 4.244 dell’acquacoltura. Quote che quest’anno non saranno neanche avvicinate: ” Con la chiusura del canale Horeca (hotel, ristorazione e catering, ndr) – riflette il vicesindaco di Sciacca, Paolo Mandracchia – si è perso almeno il 90% del venduto ” . Così, nei mesi segnati dalla pandemia, la categoria ha chiesto ripetutamente aiuto alla politica: non solo i 118 milioni che la programmazione comunitaria già assegna al settore, ma qualcosa di simile ai ristori ottenuti dalle altre categorie. Ne è venuto fuori un finanziamento da 30 milioni, per i primi 15 dei quali è già stato pubblicato il bando: ” Anche i singoli pescatori – promette l’assessore regionale alla Pesca, Edy Bandiera – riusciranno a ottenere il contributo. Abbiamo reso la procedura semplice: bastava un’autocertificazione. Fra qualche settimana i soldi arriveranno ” . Per alleviare le pene di un settore in sofferenza, costretto a sfidare i sequestratori per una manciata di euro. E per questo, dopo decenni, in un inesorabile declino.
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