Per di più senza possibilità di acquistare o trasferire quote. Cioè di commercializzarle. In Europa, il sistema della quota individuale, ripartita tra i sistemi e all’interno di essi tra i singoli imprenditori, è condiviso: lo applicano Francia, Spagna e Portogallo. Ora ci siamo adeguati anche noi, con i decreti del 16 e 30 maggio: e in questo modo potremo garantire la stabilità del settore, che è uno degli scopi della politica comune. Accade questo evidentemente perché la tonnara di Favignana non è ancora strutturata per pescare grandi quantitativi di tonno: le 14 tonnellate che le sono state assegnate sono di molto superiori a ciò che ha pescato e che, allo stato, potrebbe pescare. In pratica: al contrario di ciò che si afferma, si è dato un sostegno finanziario per consentire a Favignana di ripartire, sebbene la quota non corrisponda alla sua capacità di pesca. La quota indivisa od “olimpica” precedentemente in vigore l’avrebbe lasciata quasi a zero. Se oggi si applicasse il tanto lodato decreto di aprile, Castiglione avrebbe le sue 2 tonnellate pescate e non potrebbe vendere – come ha chiesto di fare – a un imprenditore catanese le rimanenti 12. Mi chiedo però: perché invece di venderle, non le pesca? Perché non utilizza la sua quota secondo lo scopo della normativa europea e nazionale e invece la trasferisce, con tutte le conseguenze sui lavoratori della zona? Sia ben chiaro che lo Stato non elargisce denaro, ma attribuisce quantitativi per un’attività primaria, la pesca. Se Favignana non pesca (e non ha pescato) non può scaricare sullo Stato l’inefficienza della tonnara. Pensi piuttosto al fatto che dal prossimo anno partirà da 14 e non da 0 o da 2, e migliori le tecniche di pesca, magari attraverso scambi di competenze con le altre tonnare. Cordialità.
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