Minimalista, terragno, pervaso da un senso di morte, impasta di violenza morale e fisica contro le donne, alla quale si oppone – chiusa nel suo orgoglioso mutismo fino alla dolorosa confessione, ma della quale è anch’ella portatrice – la “reggitrice” (spregevolmente indicata come “la generala”) l’inflessibile Maria – nonna di Lucia, la “picciridda” protagonista del film – alla quale è affidato il compito di accudire la piccola nipote, perché il resto della famiglia è stato costretto ad emigrare in Francia in cerca di lavoro. Maria è addetta anche alla “vestizione” dei morti, una ritualità antica a dimostrazione del suo ruolo di conservatrice d’una tradizione secolare. È una donna forte, rude, ma non riesce ad evitare che quasi tra le mura domestica si ripeta il dramma di una violenza scatenata dalla bestialità dell’uomo, una tragedia antica, arcaica, per secoli ripetutasi ad libitum. Non gli amori “pattiani”, incestuosi, consumati però nella reciprocità di un sentimento “proibito”, bensì quelli generati dall’assurdo convincimento maschilista dell’inferiorità della donna, considerata remissivo oggetto di piacere, a cui imporre con la forza una presunta superiorità derivante da secoli di dolorose sottomissioni e costrizioni del “sesso debole”.
[leggi su siciliareport.it]